Erika De Nardo la sera del 21 febbraio 2001 massacrò a coltellate, insieme con il fidanzato Omar Favaro, a Novi Ligure, la madre Susy Cassini e il fratellino undicenne Gianluca.
Il 14 dicembre 2001 presso il Tribunale dei minori di Torino è stata emessa sentenza di condanna per Erika nella misura di 16 anni e per Omar di anni 14, sentenza confermata in appello il 30 maggio 2002 e in Cassazione il 9 aprile 2003.
Novi Ligure, 21 anni dopo. Perché i figli uccidono?
Dall’inizio del 2021 sono stati molteplici i casi di figli che hanno ucciso chi ha donato loro la vita. Sono passati 21 anni dal delitto di Novi Ligure che fu un delitto di grande impatto sociale, data la sua atrocità. Dai racconti dei giornalisti e delle tv nazionali emergeva l’ odio, la freddezza, il distacco emotivo nei confronti dei genitori e del fratellino da parte di Erika.
Erika e Omar: Una Coppia Criminale
Questo è un delitto che possiamo far rientrare in quello che viene definito in criminologia, omicidi commessi da coppie criminali. Si parla di omicidio seriale in coppia quando è solo un membro a commettere l’atto, mentre l’altro è solo un complice,molto spesso silente, che assiste al fatto o aiuta a concretizzare il delitto. Il fatto certo è che nel 2011 due sono i protagonisti: uno è il soggetto induttore, un individuo più emotivamente forte, freddo, distaccato e più intelligente; l’altro rappresenta il debole soggetto, meno intelligente e capace di cedere facilmente alla suggestione del primo.
Profilo e Patologia in Erika De Nardo?
La ragazza ai tempi venne descritta come una ribelle, aggressiva, trasgressiva, mentre secondo altri era una ragazza altruista e buona. Alla luce di quanto emerse lo potremmo far rientrare come quello di un’adolescente vittima del disturbo antisociale di personalità. Gli elementi identificatori di tale diagnosi per Erika furono tre:
- La brutalità con cui ha agito nei confronti della madre e del fratello
- L’assenza al quanto completa di una reazione emozionale adeguata all’accaduto, vale a dire un qualunque rimorso
- La strategia di depistaggio adottata prima accusando alcuni albanesi e poi il fidanzato.
Quello che ha spinto Erika a compiere un gesto così estremo, si evince nel tentativo di ottenere una maggiore libertà che, secondo la giovane, la madre non le concedeva, nonostante lei e Omar si vedessero tutti i giorni.
La dinamica criminale di questa coppia è stata determinata dalla complessa personalità della figura femminile e dall’immaturità e dipendenza di quella maschile. Il delitto viene vissuto come un passaggio all’atto, determinato dall’incapacità di trovare soluzioni più adattive. Attraverso il meccanismo difensivo dell’identificazione proiettiva, le parti cattive di sé si proiettano sull’altro che diviene totalmente negativo, questo lo si evince nell’assenza di rimorso e del senso di colpa. Questo meccanismo si è visto in Erika anche dopo l’arresto. L’elemento negativo attribuito prevalentemente alla vittima viene spostato sul complice che diventa l’induttore, il malvagio ideatore.
Omar: Ci sarebbe stato il delitto se non si fosse incontrato con Erika?
Se i 2 ragazzi con queste caratteristiche di personalità non si fossero incontrate, il delitto non si sarebbe compiuto, in quanto da soli non li avrebbero sicuramente portato a conclusione. Abbiamo assistito pertanto alla convergenza di disturbi mentali complementari che hanno promosso il legame: il Disturbo Narcisistico di Personalità di Erika e il Disturbo Dipendente di Personalità di Omar.
Violenza Domestica: Quando l’aspirante l’omicida convive con la futura Vittima
Ogni giorno nei telegiornali ascoltiamo fatti di cronaca legati a parricidi, matricidi, parenticidi. Notizie di figli che uccidono i propri consanguinei, dove vi sono vittime e carnefici, tra le mura domestiche dove la violenza scoppia fino a diventare assassina. Il tutto nel contesto familiare, luogo che dovrebbe essere di accoglienza, di incontro e capace di conservare gli affetti più sicuri.
Ma allora perché i figli uccidono? Oggi più che mai in una società prevalentemente consumistica, in cui viviamo molto porta ad instaurare rapporti, anche all’interno della famiglia, non basati più sull’amore, ma sui bisogni egoistici degli individui che ne fanno parte. Assistiamo ad un vero e proprio consumismo di emozioni che ha tolto alle nuove generazioni il culto della pazienza e del sacrificio.
Coltiviamo la pazienza nei nostri figli
Quello che si viene a creare è uno scenario in cui il figlio non si riconosce più all’interno del proprio nucleo familiare, ed è portato ad isolarsi, ad avere un precipitoso rendimento scolastico, oppure a perdere il lavoro e può iniziare a fare uso di alcol e droghe. Per questa ragione, salvo la presenza di patologie psichiatriche conclamate, si può arrivare all’omicidio di uno o di entrambi i genitori che è solitamente preceduto da un litigio violento, ma non è quasi mai causato da un raptus. Al contrario, è frutto di una scelta molto ponderata che trova le proprie radici in una più radicata crisi identitaria. Quello che emerge è la capacità di tratteggiare confini ancor più inquietanti della morte di un genitore per mano di un figlio è il distacco emotivo che molto spesso viene attuato dopo la consumazione del delitto.
Adolescenti e Parenticidio
Una particolare attenzione merita il parenticidio compiuto dagli adolescenti. L’adolescenza è una fase per definizione delicata di porzione di vita nella quale i figli mettono in pratica gesti di ribellione, non vogliono stare sotto delle regole e mettono continuamente in discussione le figure genitoriali. Ma per cercare di capiere dove affondino le radici dell’omicidio consumato per mano dei giovani è necessario indagare nel loro sviluppo psichico sin dal nascita. La tempesta adolescenziale porta questi giovani a vivere di impulsi e per questo, se qualcosa si è inceppato nel rapporto con le figure adulte di riferimento, è verosimile che la rabbia ed il senso di inadeguatezza possano sfociare nel più estremo gesto come un delitto.
Il figlio, prevelentemente adolescente, che arriva ad uccidere un genitore, si trova ad affrontare un conflitto catastrofico tra il proprio bisogno di autonomia e la propria dipendenza patologica dalla famiglia d’origine. Il conflitto investe il sé del parricida, il quale identificando nel genitore l’origine dello scontro non trova altra soluzione che il parricidio, proprio per le problematiche evolutive legate allo sviluppo psicosociale e di organizzazione del Sé. Il conflitto catastrofico è una minaccia per il Sé, specialmente negli adolescenti, quindi la legittimazione al parricidio è necessario al bisogno di salvare la propria integrità.
Come possiamo riconoscere un disturbo pericoloso nei nostri figli?
La diagnosi che emerge in questi giovani è inizialmente quella di un disturbo della condotta che può trasformarsi successivamente in disturbo della personalità antisociale. Sono gli stessi ragazzi che non riescono a provare emozioni e che hanno difficoltà ad affrontare lo stress, sono estremamente imprevedibili. Dove basta poco per fargli perdere la pazienza, per esempio se i loro genitori non li lasciano uscire con gli amici o se riportano a casa un voto basso, sono questi gli episodi che possono farli esplodere.
I confini psichici diventano labili e la diretta conseguenza è il passaggio tra affermazioni del tipo “questi sono i miei genitori” a pensare nello stesso momento che “questi sono coloro che mi stanno rovinando la vita”. Gli adulti di riferimento diventano così per questi giovani, un bersaglio da eliminare e distruggere per il raggiungimento della propria felicità. Una felicità che sicuramente effimera, fugace ed apparente, soprattutto quando l’assassino è il sangue del tuo sangue.